Sleepy Hollow – Stagione 1

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Sleepy_Hollow_trailerChi: Produzione Fox creata da un folto team di autori tra i quali spiccano Alex Kurtzman e Roberto Orci, già ideatori e sceneggiatori di Fringe. Come il titolo suggerisce la serie trae ispirazione dall’omonimo racconto di Washington Irving, dal quale è stato tratto a sua volta anche il film di Tim Burton del 1999. Protagonisti sono Tom Mison e Nicole Beharie.

Cosa: Più volte, durante le puntate, mi sono chiesto perché andassi avanti a vedere la serie. Questo perché sin da subito Sleepy Hollow si è dimostrata parente ben lontana del racconto e del film di Tim Burton, nascendo con premesse talmente assurde da far gridare spesso al ridicolo. Sostanzialmente il Crane di questo film è un reduce della guerra d’indipendenza americana, catapultato nel 21esimo secolo e coinvolto in una lotta mistico-esoterica tra bene e male, con l’obiettivo principale di impedire lo scatenarsi dell’apocalisse e della fine del mondo. Gli autori hanno inserito nel plot una quantità praticamente infinità di elementi e complessità, buttandoli tutti insieme nella mischia senza pietà alcuna per lo spettatore. Parti significative della storia americana sono state distorte per renderle funzionali alla trama, folli voli pindarici usati come giustificazione per spiegare la presenza di creature e mostri venuti da chissà dove. Per non parlare di una storia con frequenti buchi narrativi e cadute di stile non indifferenti, colpi di scena letteralmente tirati per i capelli e chi più ne ha più ne metta. Eppure, nonostante questo, ho visto tutti e tredici gli episodi. Credo che i motivi principali inizialmente fossero tre, la perfetta riuscita comica dell’inserimento del protagonista ottocentesco nella vita moderna; il carisma di Tom Mison, interprete sorprendente capace di costruire un personaggio geniale e assolutamente sopra le righe; Nicole Beharie e le sue tette, sempre presenti e mai fuori luogo. Soprattutto nella prima parte la vicenda è andata avanti in maniera molto confusionaria, con sbandate non indifferenti, ma numerosi elementi interessanti e parzialmente ben riusciti. La trama verticale (ogni puntata vedeva la presenza di un mostro diverso da affrontare) è subito passata in secondo piano per lasciare spazio alla storia vera e propria: troppi gli elementi in campo per perdere tempo con storie secondarie inutili. Il riconoscimento che va dato agli autori è di non aver mai tirato indietro la mano, procedendo con forza e ostinazione verso il loro obiettivo, che sino alla fine è apparso poco chiaro e fumoso. Nonostante il prodotto venisse sviluppato in maniera semplice e didascalica, ben lontano da serial di alta qualità, il mio giudizio si è notevolmente modificato dopo l’ultimo episodio. Li i nodi narrativi sono venuti al pettine in maniera quasi perfetta, con una realizzazione molto ben curata e un cliffhanger assolutamente inaspettato, ma capace di ricongiungere in un unico disegno tutte le pedine messe in campo precedentemente. Merito anche del ben riuscito personaggio di un John Noble nell’ennesimo ruolo di alto livello della sua carriera, trasformato con una coerenza quasi impeccabile da comprimario di lusso ad antagonista principale. Solo negli ultimi minuti della prima stagione si è capito quanto lungimirante, benché assurdo, fosse il disegno di Orci e Kurtzman. Visti i 12 episodi precedenti, godibili ma mai eccezionali, non mi sarei mai aspettato una prova di forza di tali proporzioni, che permette di guardare alla prossima stagione con ottimismo e voglia di vedere come tutto andrà realmente a finire. Tecnicamente il prodotto non rappresenta nulla di eccezionale, allineato alle produzioni medie statunitensi: una serie dalle tinte horror sbiadite, con mostri e scenari discretamente realizzati, a volte ben riusciti, altre un po’ meno.

Quindi: Didascalica, confusionaria e con davvero troppi elementi in campo, ma a conti fatti divertente, godibile e con risultati sorprendenti, viste soprattutto le premesse iniziali. Sleepy Hollow si muove sul labile filo che intercorre tra buon prodotto d’intrattenimento e cagata di proporzioni bibliche, ma per ora riesce a stare in piedi con un sorprendente equilibrio.

Più: Godibile e leggero, con 3 protagonisti azzeccati
Meno: Qualitativamente non eccelso e a volte davvero troppo denso di elementi

Voto: 6,5

House, M.D. (2004-2012)

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house_mdChi: Creata da David Shore e Paul Attanasio e con un magistrale Hugh Laurie come protagonista, la serie ha avuto un grande seguito in patria ed è stata probabilmente l’ultimo grande successo seriale americano nel nostro Paese, capace di fare ascolti record anche su una rete “difficile” come Canale 5. Il seguito italiano, complice la diffusione sempre più massiccia di download e streaming, è andato via via scemando, senza però intaccarne la continuità della messa in onda, che prosegue ancora oggi con numerose repliche in chiaro e sul satellite.

Cosa: House, M.D. si colloca a metà strada tra medical drama e procedurale criminologico di classico stampo americano. Se l’ambientazione è quella ospedaliera classica con pazienti, dottori e malattie, lo sviluppo delle storie segue lo stilema classico del caso di puntata, con i medici impegnati a risolvere la misteriosa patologia del malato con modi del tutto simili a quelli dei più svariati serial polizieschi (indagini e raccolta prove – ipotesi – errori  -intuizioni geniali – risoluzione). Ad essere raccontate sono le vicende del Dr House e del suo multiforme team di collaboratori all’interno di un’immaginaria struttura ospedaliera del New Jersey. La struttura è sempre riconoscibile e l’intreccio si dipana quasi sempre allo stesso modo: questo non ha comunque impedito agli autori di sviluppare con coerenza e a piccoli passi una trama orizzontale solida e ben strutturata, concentrata su House e gli altri protagonisti. Grazie al sapiente utilizzo degli elementi a disposizione e alla bravura dei protagonisti la serie ha mantenuto intatte – pur se con qualche calo fisiologico – tutte le sue qualità, senza mai perdere mordente, rivelandosi sempre avvincente e divertente pur in tutta la ripetitività insita nei suoi meccanismi di base. Non sono mancati episodi speciali, con meccaniche e ambientazioni diverse, tutti qualitativamente eccelsi e splendidamente realizzati. L’elemento che però più di tutti ha permesso alla serie di raggiungere un seguito così ampio è stata probabilmente la complessità del protagonista e la bravura di Laurie nel rendere credibili e drammatiche le sue evoluzioni fisiche e psichiche. Quella di House è stata una figura a lungo discussa, anche a livello morale ed etico; non è un personaggio del tutto negativo, anzi, le sue azioni non sono malvagie ma indirizzate verso il bene (la cura dei pazienti), ma la sua moralità e le sue azioni sono sempre ai limiti della negatività. Il personaggio rifugge volontariamente ogni canone del tipico medico televisivo amorevole e comprensivo verso i pazienti, egli pensa sempre e solo a se stesso, al suo ego e alla sua genialità, il suo rapporto con i malati è semplicemente di tipo intellettivo e mai empatico o sentimentale. La sua misoginia, il suo pessimismo, il cinismo, il suo handicap e il sistematico uso di droghe per combattere il dolore ne hanno fatto uno dei personaggi più influenti – e complessi – della storia televisiva di tutti i tempi.

Quindi: Uno dei pochi prodotti con trama fortemente verticale che è riuscito a mantenersi di alta qualità lungo tutto il suo arco narrativo. L’ironia, i toni spesso fortemente drammatici, un protagonista perfettamente multisfaccettato e un grandissimo Hugh Laurie sono tra gli elementi che rendono piacevole ancora oggi vedere – e rivedere – tutte le 8 stagioni della serie.

Più: Ottimo equilibrio tra trama verticale e orizzontale; attori di grande livello; temi etici e morali discussi con acume e profondità
Meno: A volte troppo ripetitivo e poco realistico

Voto: 8

Sons of Anarchy – Stagione 6

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Season-6-Wallpaper-sons-of-anarchy-35519791-1600-1200Chi: Creatura di Kurt Sutter (già sceneggiatore e produttore di The Shield) nata nel 2008 e giunta alla sua penultima stagione dopo 5 anni di amori, tradimenti, sangue, omicidi, personaggi discutibili e tanta criminalità. Serie spesso snobbata ma realizzata incredibilmente bene, frutto della genialità di un autore che crede visceralmente in quello che fa e non si vergogna di miscelare elementi da potente intreccio amoroso con storie di ordinaria criminalità e fuorilegge incalliti. Liberamente ispirata alle dinamiche dell’Amleto di Shakespeare.

Cosa: Stagione altalenante che apre magistralmente la strada ad un finale da cui, ad oggi, non si sa ancora bene cosa aspettarsi. La narrazione ha vissuto fasi altalenanti, con un inizio poco chiaro e senza una direzione precisa, per poi riprendere rapida come un treno verso un finale incredibile e devastante. Motivo dell’iniziale intoppo è stato probabilmente l’addio al cast di quello che doveva essere il vero antagonista di stagione, quel Lee Toric lanciato durante gli ultimi episodi della quinta stagione e uscito inaspettatamente di scena dopo pochi episodi (Donal Logue ha infatti abbandonato la serie per altri impegni). Sutter ha così preso in mano una stagione mai veramente cominciata e ha rimescolato sapientemente le varie storyline messe sul campo: è stata data una decisa sterzata a tutte le cose lasciate in sospeso ed un’improvvisa accelerata al susseguirsi di eventi importanti. Mai una stagione di Sons of Anarchy aveva corso così tanto, mai così tanti eventi importanti si erano susseguiti con tale velocità e schizofrenia. E il tutto non è apparso per nulla stonato o fuori luogo, anzi, ogni evento era là esattamente dove doveva stare. Le basi solide e inattaccabili che la serie è riuscita a costruisti con il passare delle stagioni hanno permesso agli autori di gestire un intreccio infinito di eventi importanti. E’ stata la stagione dell’addio del bravissimo Ron Perlman e del suo Clay, un evento rimandato nelle ultime stagioni e finalmente arrivato, ma anche della tragica morte di Tara per mano di Gemma, evento inaspettato che ha regalato un colpo di scena da straziare il cuore e lasciare senza fiato. Ma è stata una stagione importante per tutti i protagonisti, per Jax e tutto il club, nel disperato tentativo di uscire dall’illegalità e dal terribile traffico d’armi, tra passaggi di testimone sofferti e spargimenti di sangue inevitabili. Impossibile riassumere quanto successo lungo quest’arco narrativo in poche righe, ma significativa è stata l’evoluzione di Jax come padre e come leader del suo gruppo, sino a quella scelta sofferta di consegnarsi alle autorità per garantire un reale futuro ai suoi figli, salvo poi vedere il tutto sfumare con il terribile omicidio finale. Per il resto questi ultimi 13 episodi mantengono totalmente inalterati stile narrativo e di contenuti, montaggi musicali a inizio e fine episodio, colonna sonora da mozzare il fiato, sparatorie e inseguimenti, violenza gratuita sparsa qua e là e humor nero a palate. Innegabilmente, con l’avanzare degli episodi, questa tragedia di chiara ispirazione shakespiriana sta raggiungendo il suo apice e ci sta facendo capire un messaggio chiaro e ineluttabile: il male che è fuori è solo lo specchio dei demoni che abbiamo dentro, si può tentare di sfuggirvi o di cambiare, ma essi torneranno sempre e la situazione non farà altro che peggiorare e distruggere tutto quello che avevamo invano tentato di costruire. La tragedia vera è solo all’inizio.

Quindi: Più che una stagione di raccordo un insieme di eventi imprescindibili per arrivare alla conclusione definitiva delle vicende della banda di motociclisti più violenta del mondo. Sutter è scrittore viscerale, follemente innamorato della sua creatura e dei suoi personaggi: spesso sembra un folle guidato solamente dal cuore e dal suo istinto primordiale, ma è innegabile la sua magistrale abilità nello scrivere e costruire dinamiche e intrecci avvincenti ed emozionanti. Trepidante attesa per l’atto finale.

Più: La serie mantiene inalterati i suoi elementi caratteristici; un finale di stagione inaspettato e carico di pathos.
Meno: Un inizio di stagione incerto e non all’altezza.

Voto: 8.5

House of cards – Stagione 1

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Kevin-Spacey-in-House-of-CardsChi: Il primo prodotto originale di Netflix, un servizio americano di streaming a pagamento pronto a rivoluzionare le regole di fruizione dei prodotti televisivi in tutto il mondo. La serie è stata resa completamente disponibile agli abbonati lo scorso 1 febbraio, dando agli spettatori la possibilità di poterne usufruire a piacimento e con la massima libertà. Niente più visione a cadenza settimanale per un servizio che si pone come diretto concorrente dei più importanti canali via cavo statunitensi, non solo per la possibilità di abbonarsi ed avere a disposizione un grande numero di contenuti in streaming e a noleggio, ma soprattutto per la produzione di contenuti originali e di qualità. House of cards sarà probabilmente solo il primo di una lunga serie. Sviluppata e scritta da Beau Willimon, trae ispirazione da un’omonima serie televisiva inglese del 1990 e da un romanzo di Michael Dobbs. Kevin Spacey è protagonista e produttore esecutivo, David Fincher ha diretto i primi due episodi.

Cosa: Frank Underwood (Spacey) è uno spietato politico statunitense che ha attivamente collaborato con il Partito Democratico per l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Quando non gli viene però garantita la carica di segretario di stato che gli era stata inizialmente promessa comincerà un gioco di vendetta e potere che vedrà il protagonista fare il possibile per vendicarsi (politicamente) di chi non ha mantenuto la parola data. La partita è tutta giocata su sotterfugi e fini espedienti di potere, in un mondo economico e sociale pervaso dalla corruzione e dall’arrivismo. La narrazione è suddivisa in almeno tre filoni principali. Durante il primo Underwood gestirà personalmente la nascita di una nuova legge sull’istruzione, nel secondo curerà personalmente la candidatura di Peter Russo a nuovo governatore della Pennsylvania, e infine sfrutterà eventi funesti e gravissimi per essere eletto nuovo vicepresidente degli Stati Uniti. Ma ridurre il plot di House of Cards a questi tre piccoli macrotemi risulta riduttivo quanto fallace. La trama del serial è infatti multistratificata e parecchio complessa. Soprattutto inizialmente risulterà molto difficile entrare nel complesso meccanismo della macchina politica a stelle e strisce, dei suoi nomi, delle sue cariche e del suo modo di operare diverso rispetto a quello europeo o italiano. Superato questo scoglio verranno fuori tutte quelle che sono le grandi qualità della serie. Tra colpi di scena ed eventi inaspettati entreremo in empatia con il protagonista e tutto il mondo che egli stesso utilizza e gestisce a suo piacimento. Il personaggio magistralmente interpretato da Spacey è un uomo senza scrupoli, un vecchio politicante capace di qualsiasi cosa pur di ottenere i suoi scopi. Utilizzerà tutte le pedine a sua disposizione e gestirà sottobanco ogni mossa sullo scacchiere presidenziale. Emblematica, in questo senso, è la triste fine di Russo, uomo tormentato e dal passato difficile, prima rilanciato e poi affossato di nuovo sino ad un terribile suicidio simulato dallo stesso Underwood. Colpi di scena ed eventi imprevedibili come questo renderanno il ritmo della narrazione via via sempre più teso e serrato. Grande rilevanza hanno poi i protagonisti. Godono di ottima caratterizzazione tutte le figure femminili, dalla moglie di Underwood, vera sorpresa della serie, alla giornalista Zoe Barnes, prima amante in carriera di Underwood e poi donna tormentata e pronta a smascherare le macchinazioni del politico. I 13 episodi ci mostrano una società costruita sulla menzogna e sul denaro, sul potere economico e sulle lobby, su persone che se non si comportano come squali affogano nello stesso mare di denaro con il quale si sono arricchiti e sporcati. Visivamente il prodotto è cupo e freddo, in pieno stile Fincher, con buoni colpi registici e uno sviluppo di temi e sceneggiatura dal gusto classico. Piccoli colpi di originalità sono gli sms che si scambiano i protagonisti mostrati in tempo reale sullo schermo e il filo diretto che intercorre tra Spacey e il pubblico. Underwood, infatti, si rivolge spesso direttamente allo spettatore e guardando dritto in camera spiega i suoi pensieri, il suo modo di fare, le sue macchinazioni e i suoi piani. Intorno tutto si ferma: c’è lui e ci siamo noi, in un gioco che crea empatia e ci permette di scavare dentro la mente perversa di un uomo altrimenti imperscrutabile.

Quindi: Tante le tematiche affrontate e snocciolate nei modi più disparati, ancora di più i simboli più o meno velati sparsi qua e la lungo il percorso. Straordinaria la caratterizzazione dei protagonisti, buona – anche se a volte eccessivamente complessa e articolata – la trama. House of cards è un ottimo prodotto che non brilla per originalità ma spicca per una trama ben strutturata e ancora tutta da sviluppare. I prossimi 13 episodi (probabilmente gli ultimi) verranno nuovamente resi disponibili in un blocco unitario a febbraio del prossimo anno.

Più: Qualitativamente elevato; Grande interpretazione di Kevin Spacey; Netflix potrebbe seriamente stravolgere il mondo televisivo nei prossimi anni.
Meno: A volte eccessivamente complesso; La storia viene praticamente spezzata a metà, verrà sviluppata nella sua totalità solo con i prossimi 13 episodi.

Voto: 8

The Walking dead – Stagione 4 (prima parte)

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the_walking_dead_season_4-wideChi: Della serie abbiamo già parlato, e ormai tutti (o quasi) sanno di che si tratta. Si è conclusa domenica scorsa la prima parte della quarta stagione, che riprenderà con gli ultimi 8 episodi a febbraio. Alla direzione il nuovo showrunner, Scott M. Gimple.

Cosa: The walking dead è ormai un fenomeno vero, una moda, un costume di cui tutti parlano e che a tutti piace. E gli ascolti da record sono li a ricordarcelo ogni settimana. Questi primi 8 episodi sono stati, purtroppo, una delusione dietro l’altra: ritmo lento, situazioni stantie, pochi guizzi e tanta noia. Si è magicamente ricaduti in quel tragico vortice già visto durante la seconda stagione. Non sono mancati degli ottimi spunti e qualche colpo ben assestato, non si è arrivati ai picchi di bassezza del passato, ma certe scelte sono state parecchio discutibili. Non parlo di qualità intrinseca degli episodi, che tutto sommato sono quasi sempre scritti decentemente, ma di un’immobilismo statico e insito nelle situazioni che, puntata dopo puntata, non hanno portato a nessuna evoluzione significativa della trama (fatta eccezione per la morte di qualche comprimario di poco conto e dell’addio di Carol). Come inutili, anche se ben realizzati, sono stati i due episodi dedicati al Governatore, che non hanno fatto altro che impantanare la serie in quello che doveva essere il suo momento clou. Discorso a parte merita l’ottavo episodio, andato in onda la scorsa domenica. Un meadseason finale finalmente colmo di azione e avvenimenti importanti, di sangue, morte e distruzione. Una puntata magnificamente tesa, che per un momento è riuscita a mettere in secondo piano quanto non successo prima. Tutto viene azzerato e fatto ripartire, il buonismo latente messo da parte per dare spazio a fiumi di sangue e violenza. Si è arrivati magistralmente a quella che doveva per forza essere la fine della saga della prigione, la morte dei buoni (Herschel e probabilmente la figlioletta di Rick) e la fine del cattivo (Il Governatore) e una mattanza che ha portato il gruppo a dividersi e a ripartire probabilmente da zero. Una puntata tesa, ben realizzata e dai ritmi vertiginosi che non concedono respiro, magnifica nella sua evoluzione e nel suo spianare la strada senza troppe forzature ad un futuro che sarà sicuramente diverso, per quello che doveva essere e non è stato il finale della scorsa stagione. Ma erano necessari 7 episodi di nulla cosmico per arrivare a tutto questo?

Quindi: La serie ha dimostrato quello di cui è veramente capace solo nell’ultimo episodio, ha preso il coraggio che fino ad ora le era mancato e ha ridato linfa vitale alle vicende dei protagonisti. Purtroppo un ottimo episodio non può cancellare una stagione zoppicante e lenta, che ha palesato tutti i difetti da sempre insiti nel prodotto. Le puntate lente e riflessive ci stanno, e alcune non mi sono per niente dispiaciute, ma annacquare così tanto il brodo e vivere di rendita e ascolti stellari è un delitto bello e buono per una serie dalle potenzialità enormi.

Più: Un episodio finale stellare e molto ben riuscito
Meno: La noia perenne che ha pervaso il resto di questa prima metà di stagione

Voto: 6.5

Romanzo Criminale (2008-2010)

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romanzo-criminale-0Chi: Prodotta da Sky e ideata da Stefano Sollima è sostanzialmente la seconda trasposizione del romanzo di Giancarlo de Cataldo, quello che racconta – in bilico tra fiction e verità – la storia della Banda della Magliana, organizzazione criminale che tenne sotto scacco Roma per quasi 15 anni.

Cosa: Inutile girarci intorno. Una delle poche serie tv italiane che merita il paragone con gli analoghi prodotti anglofoni. Un gioiello per bellezza e realizzazione, lontano anni luce da tutte le altre fiction del nostro Paese, sia per storia raccontata che per qualità generale e tecnica. Attori ai tempi sconosciuti e una storia che snocciola il romanzo d’origine e trae palese spunto dalla trasposizione cinematografica di Michele Placido, approfondendone esponenzialmente tutti gli elementi caratteristici. Dodici episodi il primo anno, dieci il secondo per un racconto di vita – e criminalità – violento e cattivo, che trabocca di humor nero e italianità, di personaggi tormentati ed efficacemente caratterizzati, di scorci di storia mai del tutto dimenticati. Un documento che prova a raccontare 20 anni del nostro Paese, tracciando teorie e conclusioni significative e parecchio inquietanti. Una storia corale, magistralmente divisa in due tronconi: la prima stagione ci racconta il passato dei membri e l’ascesa inesorabile della Banda nel controllo quasi totale di tutti i traffici illeciti della città sino al vero punto di non ritorno, nonché uno dei massimi punti esclamativi della serie, la morte del Libanese; la seconda stagione alza il tiro e incupisce toni e rapporti tra i protagonisti, raccontando la fine di un’epoca e il decadimento inesorabile dell’organizzazione con un finale che, magistralmente ricollegato alla prima puntata, conclude le vicende della Banda ma ci racconta di un’Italia perennemente in crisi e in progressivo ed inesorabile decadimento.

Quindi: Ad oggi l’apice qualitativo assoluto di tutta la serialità italiana. A confronto ogni altro prodotto analogo Rai e Mediaset è una buffonata di proporzioni epiche. Da vedere assolutamente: chi ha apprezzato la pellicola si godrà una storia che, grazie ai tempi dilatati del medium televisivo, sarà molto più approfondita e meglio costruita; i detrattori avranno modo di analizzare con calma tutti quegli elementi che al cinema non potevano essere mostrati con la dovuta calma.

Più: Attori sconosciuti ma incredibilmente bravi; una vicenda logicamente romanzata ma con molti e importanti elementi della nostra storia; tecnicamente eccelso e con una ricostruzione storica perfettamente curata; dialoghi perfetti e ritmo incalzante;
Meno: Storia violenta che non tutti potrebbero apprezzare

Voto: 8.5

Game of thrones – Stagioni 1-3

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Game-Of-ThronesChi: La super produzione targata HBO. David Benioff e D. B. Weiss alla supervisione, produzione, scrittura, seguendo e plasmando il materiale originale fornito dalla più grande saga fantasy dei nostri giorni, Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin.

Cosa: Nelle sue prime tre stagioni (a marzo la quarta) Game of Thrones ha saputo abilmente catalizzare l’attenzione dei lettori della saga, curiosi di vedere coi propri occhi ciò che da sempre hanno solo potuto leggere e dei non lettori, attratti da una storia di impatto e sicuro successo. Il canale via cavo statunitense ha ancora una volta fatto centro, spendendo montagne di soldi per ricreare perfettamente la bellezza e la complessità della storia originale. La produzione è sontuosa, perfettamente riuscita e incredibilmente realistica: una gioia per gli occhi, con grandi attori davanti allo schermo e location perfette e affascinanti. I due creatori – supervisionati dallo stesso Martin – si sono trovati davanti una trasposizione complessa e difficile. Fan e non fan sanno quanto la saga sia complessa e multisfacettata, colma di personaggi e storie, piani narrativi diversi via via sempre più complessi. In questi trenta episodi ci si è concentrati sostanzialmente sui primi due libri e metà del terzo, in un gioco al rialzo stagione dopo stagione sempre più difficile. Dopo un primo anno sorprendente e perfetto – ad oggi punto massimo   ancora insuperato – ci si è trovati davanti ad un colosso sempre più ampio e difficile da gestire. Gli spettatori hanno dovuto fare i conti con una narrazione sempre più frammentata, con puntate che proponevano storie sempre più parcellizzate e complesse, colme di personaggi ed elementi. Un racconto perfetto su carta ma che riscontra limiti evidenti se circoscritto sotto le ferree regole del mondo seriale. Un problema, bisogna ammetterlo, non di poco conto, ma che col tempo si riesce a sopportare, consci del grande lavoro svolto dagli autori su una storia veramente difficile da gestire. Il trono di spade fa di questi limiti la sua forza, si giova degli elementi di cui è diventato portatore e produce episodi di una bellezza incredibile (tra tutti il vero capolavoro di questo triennio, The rains of Castamere), una gioia per gli occhi e il cuore, emozionanti, commoventi e violenti al punto giusto; lenti ma non troppo, prolissi ma precisi, capaci di prendersi le giuste libertà dall’opera originale.

Quindi: Un fantasy atipico, crudo e violento, con i giusti elementi fantastici ed esoterici, divertente ed avvincente. Un approccio inizialmente ostico si tramuterà in un amore incondizionato e una passione spropositata. L’attesa per la quarta stagione si fa snervante oltre ogni limite.

Più: Resa visiva sontuosa; grandi attori e grandi registi dietro la macchina da presa; grande storia, ricca di elementi e colpi di scena
Meno: Narrazione spesso dispersiva e parcellizzata

Voto: 8

The Walking dead – Stagioni 1-3

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1104506_the-walking-dead_thumb_bigChi: Il tormentone televisivo degli ultimi anni, capace, in una tv via cavo come la Amc di raggiungere ascolti paragonabili a quelli del seguitassimo (e generalista) football americano. Una serie di zombie e sopravvivenza, di cattiveria e sopravvissuti, un dramma horror-splatter liberamente tratto da una serie a fumetti scritta da Robert Kirkman. Tanti i supervisori e gli sceneggiatori: prima Frank Darabont, ideatore e primo showrunner, poi Glen Mazzara, infine Scott M. Gimple.

Cosa: Le premesse gridavano tutte al capolavoro. Le prime puntate promettevano uno show magistralmente costruito e bellissimo. Il giocattolo dagli ascolti esorbitanti è poi esploso nelle mani dei suoi stessi autori per colpa di una gestione altalenante delle pedine messe in gioco e dei continui cambi di autori, sceneggiatori e produttori. I crescenti ascolti hanno ulteriormente danneggiato il tutto. La serie vive in un continuo parallelismo con l’opera letteraria da cui è tratta, a volte se ne discosta completamente, altre volte ne segue gli eventi e le linee guida. Un’altalena ingestibile e titubante, fatta di cose eccellenti e altre ben  poco esaltanti. La storia racconta le vicissitudini di un poliziotto risvegliatosi da un coma in un mondo devastato da una misteriosa infezione e infestato da famelici zombie. Si ritroverà a fare i conti con un’esistenza in cui ogni regola è stata ribaltata e ogni barlume di umanità perduto. Si formeranno sin da subito alcuni gruppi di sopravvissuti e faremo stretta conoscenza di una lunga serie di protagonisti e comprimari. Il serial vive tra due anime contrastanti, quella più action e splatter, dalla matrice più spiccatamente horror, contrapposta ad una più drama e dai toni classici che vuole indagare le questioni morali di un’umanità che non ha quasi più nulla di umano. Raramente si è riusciti a trovare il giusto equilibrio nel giostrare questi due elementi. La gestione Darabont (Prima stagione e primi 8 episodi della seconda) era partita benissimo per poi perdersi in puntate totalmente inutili ed estenuanti, lente e scritte malissimo.  Mazzara, autore con una maggiore esperienza seriale, ha dovuto ricostruire i cocci di una serie in conflitto con se stessa e la sua natura. Ne sono nati i migliori episodi di sempre: violenti, tiratissimi, colmi di azione e storie veloci come treni e capaci di spiazzare e sorprendere. Colpi di scena a non finire, morti incredibili, cambiamenti di trama epocali molto vicini a quelli del fumetto e magistralmente costruiti. Il tutto si è però lentamente e nuovamente arenato, non raggiungendo le vette di noia del passato, ma riportando il tutto su binari di “calma e tranquillità” con episodi ben sceneggiati e quadrati ma spesso non utili ai fini del proseguo della storia.

Quindi: The walking dead si fa guardare con estremo piacere. Si è però purtroppo assestata su un livello medio per nulla consono a quelle che sono le potenzialità del prodotto e della sua controparte fumettistica. Gli episodi capolavoro sono tanti, ma altrettanti quelli inutili; gli ascolti sempre più alti hanno aumentato il numero di puntate per stagione, con un conseguente calo di qualità, ad oggi non ancora troppo preoccupante. Un giudizio completo sarà comunque possibile solo a quarta stagione conclusa.

Più: Alcuni episodi capolavoro; la seconda parte della seconda stagione e la prima della terza.
Meno: La prima parte della seconda stagione; l’alternanza sistematica tra puntate bellissime e riempitivi senza alcun senso.

Voto: 7

Breaking Bad (2008-2013)

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Breaking-Bad-2Chi: Il fenomeno televisivo degli ultimi anni. Nato dalla folle fantasia di Vince Gilligan, Breaking Bad è riuscito col tempo a diventare un fenomeno di culto amato alla follia da chiunque abbia avuto occasione di vederlo. Di grande spessore le performance di tutti gli attori, con un Bryan Cranston lanciato nell’Olimpo dei più grandi attori di sempre. La serie è terminata lo scorso 29 settembre dopo cinque tiratissime stagioni.

Cosa: Un professore di chimica disperato e depresso, schiacciato dalla sua triste esistenza scopre di avere un cancro a livello terminale. Walter White decide quindi, con pochi mesi di vita davanti a sé e a una famiglia difficile alla spalle, di dare una svolta definitiva alla sua vita. Grazie all’aiuto del suo ex studente Jesse Pinkman (Aaron Paul) sfrutta la sua abilità nella chimica per produrre metanfetamine e guadagnare più soldi possibili per il futuro di moglie e figli. Ma la chimica di Gilligan non è per niente un processo esatto e porterà ad una serie di eventi inattesi e col tempo sempre più tesi e drammatici. I protagonisti si ritroveranno faccia a faccia con un mondo più grande e cattivo di loro, compiranno azioni sempre più efferate e violente: diverranno dei criminali incalliti senza nemmeno rendersene conto. Tra scene epiche e spettacolari ed una costruzione degli eventi perfettamente calibrata, Breaking Bad raggiunge punte di drammaticità assolute. Merito di attori di primissimo livello e di una sceneggiatura ben scritta e con una visione d’insieme difficilmente riscontrabile in prodotti analoghi. A fare la differenza sono autori e sceneggiatori attentissimi ad ogni particolare: anche l’elemento apparentemente più insignificante ricopre un ruolo fondamentale nell’economia dell’intero ciclo di episodi, grazie soprattutto a tecniche narrative rivoluzionarie capaci di decostruire le fondamenta stesse della serialità televisiva, con episodi degni di film ad alto budget. Un dramma complesso e stratificato, leggibile sotto diverse chiavi di lettura, divertente e violento, drammatico e teso, capace di emozionare e tenere gli occhi dello spettatore incollati allo schermo. DI assoluto interesse anche la questione morale interna alla storia. Walter diventa col tempo sempre più cattivo, viene continuamente messa in dubbio la sua moralità, sino a renderlo l’antagonista vero e proprio del racconto in un processo sempre più straniante per lo spettatore, che solo col tempo capisce di fare il tifo per le azioni di quello che credeva essere un buono ma che in realtà compie azioni degne del criminale più incallito.

Quindi: Il prodotto definitivo della serialità televisiva americana per qualità di scrittura, regia e fotografia. Un serial televisivo superiore e inarrivabile che riscriverà (e in parte ha già riscritto) il mondo dell’intrattenimento televisivo. Un punto di arrivo che influenzerà gran parte dei prodotti futuri, un apice qualitativo che per lungo tempo sarà difficile superare.

Più: Qualitativamente eccelso, magistralmente recitato, scritto e diretto. Da vedere assolutamente.
Meno: Una prima stagione colpita dal famoso sciopero degli sceneggiatori del 2008 che ne ha minato la visione di insieme e la qualità generale (ampiamente recuperata già dai primi episodi della seconda stagione).

Voto: 10

I Soprano (1999 – 2007)

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1337696728718I_SopranoChi: La serie televisiva che ha influenzato tutti i prodotti seriali statunitensi degli anni 2000. Un successo incredibile replicato in gran parte del mondo (tranne qui in Italia. Grazie Mediaset!) per un prodotto entrato di diritto nell’immaginario filmico sulla malavita organizzata. Il geniale creatore, David Chase, è riuscito a coltivare una generazione di sceneggiatori talentuosi e originali, tra tutti Terence Winter (Boardwalk Empire) e Matthew Weiner (Mad Men).

Cosa: Le avventure mirabolanti della famiglia Soprano e delle turbe psicologiche del capofamiglia Tony. Tra famiglie in continua lotta tra loro e vicissitudini personali più o meno importanti, il serial ha voluto indagare da vicino gli aspetti più controversi della società statunitense, le sue storture e l’inserimento ancora difficile degli immigrati italiani nel tessuto sociale a stelle e strisce. Merito di Chase è stato creare un prodotto atipico per la televisione dei tempi, con una trama straniante e ad ampio raggio, colma di sottotrame e di elementi ricorrenti sempre riconoscibili. Le morti celebri e brutali, i sogni allucinati del protagonista, le sedute di psicoterapia, gli ospedali, i funerali, il senso di morte continuamente presente, gli animali, le visioni oniriche, il sesso, il matrimonio, il tradimento, il cibo, il cinema. Il tutto incastonato perfettamente in una storia coerente e dalla forte tensione drammatica. La vera forza degli autori è stata quella di giocare col concetto stesso di serialità: poca trama orizzontale, episodi dal sapore sempre diverso interessati più alle vicende personali dei protagonisti che all’azione vera e propria. Sviluppi basati più sulla crescita (e decrescita) psicologica e caratteriale dei protagonisti che sugli eventi stessi. Anzi, spesso gli avvenimenti importanti sono solo il pretesto per dare il là a nuove sfaccettature nella psiche dei protagonisti. Il personaggio di Tony Soprano (superbo James Gandolfini) è probabilmente quello caratterialmente più completo (e complesso) nella storia della televisione, potrebbe essere studiato nei principali manuali di psicologia per la sua complessità e profondità. Un prodotto che per essere meglio goduto va visto con calma, la stessa con cui sceneggiatori e staff hanno costruito puntate memorabili, piccoli film perfettamente incastonati in un progetto ambizioso per contenuti, qualità della recitazione e scelte artistiche. Il tutto concluso da un finale capolavoro che condensa in sé tutti gli elementi tipici della serie.

Quindi: Chi considera importante il contributo artistico dato dalle serie tv americane deve aver visto, almeno una volta, I Soprano. Una serie da guardare con impegno e dedizione, da assaporare lentamente, come una tazza di tè caldo dai sapori sempre nuovi ma col tempo riconoscibili. Un capolavoro che ha cambiato per sempre il mondo della televisione, avvicinandolo a quello cinematografico per qualità di contenuti, bravura degli attori e resa visiva.

Più: I personaggi e la loro profondità; la qualità generale del sotto ogni aspetto; il finale
Meno: La lentezza, a volte eccessiva; la sua atipicità che ne limita fortemente l’accessibilità

Voto: 9